sabato 13 febbraio 2016

Sliding doors

C'era una volta un miliardario russo e una nobile decaduta, fresca neopromossa in A2. Era luglio, circa un mese dopo la promozione dalla B di quella società. Era luglio, meno di due mesi dopo l'arresto di quel miliardario per frode e appropriazione indebita. Poteva essere matrimonio. Non lo è stato. Le nozze sono state altrove.

Il miliardario russo è Dmitry Gerasimenko. L'uomo che un po' di settimane dopo, in autunno, ha avvicinato la Pallacanestro Cantù per rilevarne in novembre circa i due terzi delle quote. Pompando denaro per rinforzare una squadra inizialmente rilanciata dalla zona salvezza alle speranze playoff, oggi in un limbo equidistante (4 punti) dall'ottavo e dall'ultimo posto, nonostante sei ingaggi e il cambio dell'allenatore.

Ha preso una delle società più gloriose del basket italiano, ne ha sconvolto la liturgia, ha ribaltato ogni concetto di rispetto dei ruoli all'interno del gruppo di lavoro, le ha portato risorse che da qualche tempo faticava a mettere insieme, uno che con schiettezza interpreta gli investimenti nel basket come un modo per fare business: che fuori dal mondo delle favole dei benefattori sarebbe anche normale, bisogna vedere cosa resta dopo il business, o se il business non si fa. Quando si prendono per le mani certi patrimoni dell'umanità come sono alcuni club di basket, poi andrebbero sempre maneggiati con cura.

Dmitry Gerasimenko a luglio ha incontrato Lorenzo Marruganti e Piero Ricci. Se con Cantù il legame è la vicina Svizzera o il figlio che cercava una squadra di basket, il contatto con Siena lo ha favorito un intermediario. In teoria, un'opportunità per entrambi. In pratica, risulta che Gerasimenko abbia lasciato intendere idee non molto distanti da quanto poi ha fatto a Cantù. La Mens Sana ha proposto un ingresso come socio di minoranza, Gerasimenko ha insistito per la maggioranza, la Mens Sana ha controproposto un patto di sindacato per tutelare la senesità della società, e più in generale per garantirsi. Lo stesso che ha provato a fare Anna Cremascoli, mantenendo la presidenza, salvo poi doversi arrendere dopo un mese e mezzo di convivenza. Con la Mens Sana non c'è stato disaccordo: ci si è lasciati con quelle proposte, Gerasimenko non si è più fatto vivo.

Col senno di poi, meglio sia andata così se ci si salva. Col senno di poi, era meglio Gerasimenko se si deve chiudere. Poi ogni situazione va inquadrata nel contesto in cui avviene. Quelli erano mesi in cui erano molto realistiche le ipotesi di trovare risorse diversamente. Erano mesi in cui si sapeva di poter contare sui 150mila euro dell'accordo da secondo sponsor di SavEnergy, la "collegata" su cui Gecom aveva girato la parte di accordo non pagata l'anno prima (150 su 300).

Ed è un contesto analogo, seppur spostato in avanti di qualche mese, quello che a novembre ha portato a non prendere al volo (unico modo per concludere l'accordo) l'offerta triennale di Rete Ivo: 150mila euro il primo anno, 200 il secondo, 200 il terzo più premio promozione da 50. Possibile che a novembre si ritenesse di valere più di 150mila per quest'anno (in fin dei conti era quello che doveva arrivare dal secondo sponsor). Sacrosanto che i 200 per gli anni successivi, quelli in cui provare a fare il salto di qualità, siano sembrati troppo pochi. Se arrivassero oggi, sembrerebbe manna dal cielo, non c'è neanche bisogno di dirlo. Anche Gerasimenko.


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