sabato 22 novembre 2014

Con Matteo Mecacci

Questo post non c'entra niente con l'attualità. L'idea era di parlarne prima, poi l'accumularsi di fatti freschi ha fatto slittare un discorso di carattere generale. Farlo adesso dopo la prima sconfitta è solo una casualità, ma dirlo a metà stagione non avrà più senso.

L'entusiasmo per la ripartenza della Mens Sana è diversamente distribuito. Emotivamente entusiasmo a pioggia sul nuovo gruppo di giocatori, collettore dell'affetto di un popolo uscito da un'annata da incubo rinfocolando l'attaccamento per chi veste il biancoverde per il rischio vissuto di non avere più una squadra, con in più anche la simpatia che ispira un basket di categoria diversa da quello vissuto fino a giugno.

Razionalmente entusiasmo per il lavoro della società: non parlo delle modalità della ripartenza (le divergenze su quello non si spegneranno mai) ma della qualità della squadra costruita, una corazzata che ha tutto per vincere il campionato. Poi "società" vuol dire anche altro, ma finché si gioca il pensiero è soprattutto al tipo di squadra che la società ha messo su, il resto "non esiste". Tra un focolaio e l'altro di convinto sostegno, in mezzo, c'è Matteo Mecacci, il coach.

Che rischia di essere non dico l'anello debole ma il più esposto al vento, perché "con una squadra del genere non puoi non vincere" (e invece il mestiere dell'allenatore è un po' meno banale). Tanta tanta pressione è su di lui: per come è apparecchiata la tavola - con questi giocatori, in una società del genere, per questa gente - può solo sbagliare, e se fa bene fa solo qualcosa di normale. Tutto non pensando che se è stato chiamato è perché ha delle credenziali.

Rischia di essere "il più esposto al vento" per l'età. Rischia di esserlo per le sue radici virtussine, legittime e molto degne, ma inizialmente causa di diffidenza per alcuni. Per il suo essere senese, e non sto a evocare precedenti illustri che potrebbero non essere graditissimi al coach, ma tutti si sentono in diritto di spiegare perché fa bene o male una cosa perché lo hanno visto crescere, lo hanno visto giocare, lo hanno visto in contrada... e tendono per troppa confidenza a dargli meno credito di quanto ne darebbero a chi viene da fuori e non si conosce.

E, seppur in un certo senso invidiabile, Matteo Mecacci si trova nella posizione meno appagante, credo, per l'estro di un allenatore: quella di gestire talento, averlo già pronto e preoccuparsi di doverlo far rendere, con lo stress quotidiano del bilancino per trovare e poi non rompere gli equilibri, quando per qualunque coach è molto più divertente arrivarci col lavoro, inventarsi qualcosa di nuovo, esaltando in un'idea di squadra un progetto di crescita individuale dei singoli, che qui però sono già affermati, quando non ultra-affermati.

Evito sempre di fare valutazioni complessive sugli allenatori perché non penso di avere sufficienti mezzi tecnici per potermelo permettere. Si può ragionare su una difesa, sulle scelte dei cambi, a esagerare su un piano partita, ma oltre lo lascio fare a chi ha competenze analoghe, da allenatore. Per questo capiterà di discutere le singole scelte anche di Mecacci e non credo di poterne dare una valutazione complessiva. Ma posso dire di averla avuta da suoi colleghi, anche di Serie A, e me ne hanno tutti parlato bene, con un grande futuro davanti.

La società la squadra l'ha fatta, i giocatori ci mettono la faccia ma meno dell'allenatore: è suo, di Mecacci, il compito più difficile. Averlo in quella posizione "debole" non è nei migliori interessi della Mens Sana, c'è lui al centro del progetto. La personalità non gli manca. Anzi. A modo suo, saprà affermarsi da solo. Lo sta già facendo. Ma credo che - nelle comprensibili e libere chiacchiere da bar, che sono uno dei piaceri di seguire lo sport - quando si vuole valutare l'operato di Mecacci non si possa ignorare anche tutto il contesto (molto più difficile che facile) del lavoro a cui è stato chiamato. Così, per correttezza e completezza.

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